RECENSIONI E CRONACA 2006

L'UNIONE SARDA 19 maggio 2006
I Sardi nel mondo
DAL DRAMMA UNA GRANDE LEZIONE
"Raccoglierò ogni traccia del passaggio di mio figlio"


di Anna Piccioni
"Mi ha dato una grande lezione. Faccio tutto pensando a lui". Solo così Beniamino Agus trova la forza di alzarsi la mattina e affrontare le giornate alla ricerca «del modo per far conoscere mio figlio a chi non ha avuto la fortuna di incontrarlo». Cagliaritano, ha lasciato la città nel ’67 per trasferirsi a Roma, colonnello dei Servizi segreti italiani. Abituato alla riservatezza per comprensibili ragioni professionali, è poco incline a parlare di sé anche adesso che è in pensione: «Non c’è molto da raccontare della mia vita. Tutto ha senso solo se posso parlare di Marco Josto. Per lui sposterei l’asse della terra». Senza piangersi addosso o arrendersi al dolore, cerca conforto nei ricordi. Il più straziante, la vitalità del figlio spezzata a 26 anni da un "fantasma" crudele. «Il suo è stato un esempio di grande dignità nella sofferenza». Che ha origine nei tormenti adolescenziali e culmina in un gelido parapetto. «Fino a quel momento è stato un’esplosione di creatività - artistica e letteraria - della quale nulla va perduto». La sua passione per l’arte ha influenzato Marco, il cui gioco preferito fin da piccolo «era sporcarsi le mani con i colori ed esprimere la sua fantasia in vivaci e innocenti acquerelli». Il suo talento era nell’aria, manifestato anche nella poesia e nella musica. «La sorella prendeva lezioni private di pianoforte e a malapena riusciva a "picchiare sulla tastiera". Lui, una mattina, ha cominciato a suonare Chopin». Si divertiva a improvvisare anche pezzi di jazz, «Keith Jarrett era il suo preferito». Appassionato di Dostoevskij, «ha cominciato a leggerlo a 16 anni» e come lui credeva che la bellezza avrebbe salvato il mondo. «Persuaso che bellezza fosse arte, in tutte le sue sfumature». Le lettere «Anche in van Gogh aveva un costante riferimento artistico e morale. Gli "scriveva" per raccontargli di sua madre, delle sue fatiche quotidiane spesso tramutate in angosce. Ho trovato e conservo le sue lettere, nelle quali poneva mille domande. I dubbi sull’esistenza». I comuni "perché" di una vita di follia, quella che aveva portato l’artista olandese al suicidio. «Non ho mai avvertito, in questo interesse di mio figlio, un presagio». Il diario «Dalle pagine del suo diario si rivolgeva a quello che riteneva l’amico più intimo e profondo - proprio Vincent van Gogh - indirizzandogli poesie, erudite critiche sull’arte, confessioni, evocazioni, impressioni sulla vita. "Si tende più a valorizzare il pittore moderno, piuttosto che il paesaggista e il ritrattista. Perché?", gli chiedeva. "Le cose hanno perso i loro contorni, forse non esistono più uomini che lavorano, faticano e che val la pena ritrarre?"». La curiosità e la brama di sapere lo portavano a cimentarsi in ambiti spesso sconosciuti e ne studiava a fondo gli aspetti più indecifrabili. «Si svegliava in piena notte per liberare i suoi istinti creativi e trovava pace solo dopo ore insonni». La Sardegna Tanti i viaggi nella terra che amava e studiava. «Aveva persino imparato un campidanese maccheronico e scherzava così con la nonna, a Cagliari». Città questa che lo attirava anche artisticamente: «Nelle estati di tirocinio dal maestro cagliaritano Luigi De Giovanni, aveva ritratto ogni angolo dal suo cavalletto sul Bastione di Saint Remy». Le dediche Non sprecava mai un’occasione, fosse anche una piccola ricorrenza, per donare qualcosa di importante. «A una festa del papà mi ha regalato un libro con dedica: "Sperando che dopo la lettura ti convinca che Kant non è quello che hai definito un grande archivista"». Spaziava tra poeti, storici e filosofi senza pregiudizi culturali o ideologici. «Leggere Nietzsche gli dava lo stesso piacere dell’ammirare un’opera d’arte». Non per "appartenere", ma per conoscere. I colloqui Nello studio dello psichiatra, alla domanda dove ideologicamente si collocasse, rispondeva: "Può mettermi tranquillamente tra gli anarchici". «Sapeva essere ironico, e sapeva perfettamente che Conoscenza è Libertà». L’ha dimostrato anche con quella conversazione fitta fitta con la psicologa che gli diceva: "Tu mi vuoi affascinare". E lui, serio: "Non voglio affascinarla, spero solo che lei possa aiutarmi". Una richiesta non sottovalutata, né dai clinici né dalla famiglia. Amici Il suo modo di essere non passava inosservato. Tante amiche, compagne di scuola e di corso all’accademia delle Belle arti di Roma (frequentata dopo il Classico) erano sensibili al ragazzo che era. Dal suo metro e novanta non aveva mai guardato nessuno dall’alto in basso. Tutti lo descrivono "una persona dal sorriso misterioso, quel sorriso che ti scava nell’animo, che ti comprende, che condivide e ti sostiene nelle difficoltà". "Luminoso come il sole". Lo dice chi ha avuto la fortuna di scrutare i suoi occhi azzurri, sfiorare i suoi capelli biondi, conoscere il suo animo. «Con generosità e altruismo è stato amico di quanti adesso vengono ogni giorno a parlarmi di lui». Con i loro racconti lo riportano qui, in questa casa dove la collezione privata di Beniamino Agus è sparita per far posto a olii e acquerelli di Marco Josto: girasoli, nature morte, donne distese. Il pianoforte in un angolo della sala, la libreria, tanti cassetti ancora chiusi parlano di lui. «Non ho ancora trovato il coraggio di aprirli. Scavare nei ricordi mi lacera dentro. Gli ultimi anni di mio figlio li ho vissuti ascoltando ogni suo respiro, seguendo ogni suo passo, ogni gesto». Fino al 23 febbraio di due anni fa.
Il vuoto «Quell’ultimo fine settimana l’ha trascorso con una pittrice, conosciuta al reparto psichiatrico. Mi ha chiesto di lasciargli libera la casa. Non mi nascondeva nulla, neppure l’affetto e la comprensione che
offriva a questa ragazza per i problemi seri che stava vivendo.
Il lunedì mattina ha fatto colazione con la sorella che gli raccontava dei preparativi per il suo compleanno. L’avremmo festeggiato tutti insieme il giorno dopo a Roma, lui era entusiasta, partecipava con suggerimenti e proposte. Non avrebbe mai fatto ad Alessandra il torto di mancare alla sua festa. Per come l’amava, mai avrebbe rinunciato alla sua gioia di averlo vicino come sempre era stato. Ancor più da quando era mancata la madre, sei anni prima. Dopo la colazione si è allontanato e mia figlia ha continuato ad organizzare la festa del giorno dopo». Nessun sentore di un imminente cambio di programma. Marco esce di casa accompagnato da una voce insistente che l’ha trascinato fino a quel ponte sospeso nel vuoto. «Ignaro, ho aspettato invano il suo rientro». In tanti lo hanno atteso. Anche Carla, quella che Marco aveva amato non corrisposto. Lei lo considerava un riferimento importante, il suo confidente. Lo amava «ma non di quell’amore». Lui aveva accettato la purezza di quel sentimento come un fatto ineluttabile. «Ma questo non c’entra con quanto è accaduto. Carla è rimasta attaccata al ricordo di lui, ogni giorno viene in questa casa per sentirne la presenza e la dolcezza. Gli ha dedicato la sua tesi di laurea: (...) è pensando a te che ho scritto ogni riga, a te che manchi (...)». Orgoglio e dolore «Non sono disperato perché mi manca Marco. Sono addolorato per la sua fatica, per il peso che le sue giovani spalle hanno dovuto sopportare. Avevo implorato il nome di chi avrebbe potuto avere la bacchetta magica, l’avrei pagata con la mia stessa vita. Ma non c’è stata magia». Per il colonnello, l’unica ragione di vita insieme ad Alessandra è catalogare tutto di lui. «Vogliamo raccogliere ogni opera, ogni scritto, ogni traccia del suo passaggio». Orgoglioso della sua «laica e civile sardità», apprezza che a Cagliari alcune importanti librerie della città ospitino le tele di Marco. In Castello la Galleria permanente "Colori di Marco Josto Agus" è aperta al pubblico e ai giovani artisti di StiArte di Eboli. «Città, questa, che gli ha intitolato un Premio e ha accolto una sua opera permanente in un antico convento». L’idea è nata dal profondo legame che unisce la famiglia Agus a queste Genti, «dove anche altri sardi vivono e si esprimono e dove si è ben tracciato un solco di continuità spirituale, etica e culturale». Ad Avezzano, «nostra città adottiva dopo Roma», nascerà il Centro studi per la diffusione e lo studio delle opere pittoriche, critiche d’arte e letterarie di Marco Josto. Tutti i giovani potranno accedervi gratuitamente per studi e ricerche. Anche a Bratislava hanno esposto i suoi lavori. «In questo modo mi illudo che lui sia ancora qui, a ricordarmi ogni giorno la sua lezione. Prima che artistica, umana».

L'Unione Sarda 19 maggio 2006

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